venerdì 8 ottobre 2010

Cosa succede nella scuola degli altri. Il modello scolastico giapponese

Rita Casadei

Questo breve contributo intende proporsi come occasione di confronto su alcune dinamiche educative, formalmente condivise anche all’interno di sistemi scolastici appartenenti a dimensioni culturali - e geografiche - molto distanti tra loro, come l’Italia ed il Giappone. Il nostro interesse è di confrontarci con la realtà giapponese proprio a partire da quegli aspetti che, tradizionalmente, sono stati aspramente criticati dalla prospettiva pedagogica occidentale, come eccessi di modelli educativi intitolati alla conformazione e alla rigidità e che ora temiamo possano profilarsi come infelici destinazioni per la stessa scuola italiana.
Poichè la critica, spesso, si concede alla tentazione dei luoghi comuni, con questa analisi vorremmo tentare di ricollocarla su un piano di osservazione sia di paradigmi pedagogici fondati su matrici del pensiero molto diversi, sia sul piano formale sia sul piano della pratica sociale, oltrechè della diversa contestualizzaizone economica e politica. Sarebbe interessante partire dall’osservazione di che cosa e perché viene criticato dall’opinione pubblica e in particolare dai rappresentanti più accreditati del mondo della ricerca pedagogica locale. In breve, credo sia interessante confrontarci su che “cosa”, “come” e “perchè” è criticato – del sistema scolastico - dalla stessa società giapponese per poi riferirlo ai nostri parametri di rilevazione e valutazione. Questo non soltanto per fare un gioco di corrispondenze tra ciò che “va e non va” da “noi” e da “loro”, ma per incrociare criteri diversi secondo cui interpretare l’evento educativo. Ciò che intendo dire è che potremmo arrivare a constatare che la critica potrebbe convergere verso medesime questioni ma per motivi diversi. Questo ci consentirebbe di avvicinare le diverse sensibilità pedagogiche da cui derivano le priorità formative ed i relativi processi per realizzarle.
Un terreno tristemente condiviso è quello dei tagli all’istruzione.
Certo bisogna fare un distinguo: in Giappone l’istruzione è sempre stata considerata una voce prioritaria. Ricordo ancora le parole del prof. Giuseppe Pittau della Sophia University di Tokyo che descrivevano un Giappone devastato dall’orrore dell’esperienza bellica, ma da subito impegnato a costruire scuole. Edifici non certo di fortuna, ma solide strutture già dotate di spazi differenziati da riservare allo studio, alla pratica sportiva e alla socializzaizone, in un’ottica di investimento sulle generazioni future per la rapida ripresa del Paese. Non solo, ma il dibattito sui temi dell’istruzione, dall’immediato dopoguerrra ad oggi, è sempre rimasto acceso contribuendo ad una significativa generatività pedagogica, basata su una pluralità di impostazioni.
Ho la fortuna di visitare il Giappone con una certa assiduità che negli anni mi ha permesso di visitare realtà scolastiche anche molto diverse tra loro. Pur constatando una crescente critica verso il sistema formativo così come è venuto a delinearsi negli ultimi vent’anni, posso affermare che le istanze dell’istruzione e dell’educazione giocano a tutt’oggi un ruolo non certo secondario nella definizione degli intenti e delle condotte sociali e politiche. La prima netta valutazione è la spaccatura tra sistema scolastico pubblico e privato (kouritsu-shiritsu). Il primo parte dal presupposto della dimensione democratica dell’istruzione e della gratuità proprio in senso economico: a tutt’oggi chi frequenta le scuole pubbliche non paga, né per i libri, né per i materiali di consumo, né per le attività…questo da noi non accade. I miei figli frequentano una scuola pubblica, a Bologna: paghiamo per i libri, per le risme di carta, per le gite, per le attività labortatoriali e quest’anno – sotto la spinta dell’ansia del contagio virale – anche per i saponi anitbatterici e i disinfettanti. Confrontandomi con alcune maestre di scuola elementare pubblica giapponese ho riscontrato in loro un certo stupore, quasi incredulità. Anche la scuola pubblica giapponese non se la passa bene, ma attualmente i tagli riguardano eventualmente spese per materiale che noi riterremmo quasi di lusso: “riduzione” nell’acquisto di hardware non strettamente necessario come lavagne luminose, monitor etc… Riduzione significa comunque che la presenza minima del materiale è garantita. Probabilmente nel dibattito sui tagli riservati al sistema scolastico possiamo riscontrare un atteggiamento che forse alcuni di noi leggerebbero come autocensura: in pratica, parallelamente al malcontento espresso dal corpo docente si evidenzia anche un atteggiamento di autocritica nell’effettiva legittimazione della protesta. Gli insegnanti constatano che il budget destinato alla scuola è in diminuzione, al contempo si domandano pure se le loro richieste non siano di fatto esose o ingiustificate…Definirei questo tratto tipico della mentalità giapponese, nella quale alle necessità individuali vengono anteposte quelle collettive, con le relative variazioni su scala: il piccolo gruppo cede alle ragioni del grande gruppo e così via. Probabilmente queste forme “composte e autoregolamentate” di critica reggono in virtù di situazioni, a onor del vero, ancora non drammatiche.
Per spsotare il discorso al campo delle risorse umane nella organizzazione dei servizi scolastici, molto è affidato nella scuola pubblica, anche al sistema di volontariato locale. Non è presente al momento un piano di finanziamento per il sostegno o il recupero degli alunni con difficoltà di apprendimento. Questo è infatti un punto nevralgico nell’attuale dibattito. Finora il sostegno si orienta alla difficoltà linguistica: sia nei confronti degli stranieri sempre più presenti, sia nei confronti degli stessi madrelingua, rispetto alla quale la scuola pubblica si avvale dell’aiuto di cittadini iscritti ai “community center” – sorta di associazioni territoriali per il servizio sociale, o di insegnanti che informalmente si coordinano per attività di sostegno, a carattere volontario.
Le linee di condotta della scuola dell’obbligo si sono orientate per un’offerta formativa volta ad attendere le indicazioni ministeriali del programma, a valutare il percorso dello studente ma senza prevedere misure atte a contenere o correggere difficoltà di apprendimento. Ad esempio non è prevista l’opzione della bocciatura per tutto il comparto della scuola dell’obbligo, né come necessità di far ripetere un percorso di istruzione né come provvedimento sanzionatorio. Più che un problema di profitto è sentito come un problema di motivazione…Questa forma di dispersione interpretata come una mancanza di volontà di frequentare la scuola e di applicarsi agli studi è oggetto di ripensamenti sia sul piano pedagogico sia sul piano strategico/organizzativo. Certamente sono sempre maggiori i casi di dispersione con conseguente degenerazione a livello di disturbo comportamentale fino ad arrivare a forme esasperate di bullismo o di violenza sulla propria ed altrui persona. In questo senso il problema acquista una caratterizzazione multidimensionale: a fianco del percorso scolastico canonico – pubblico o privato che sia – sono presenti agenzie per la formazione – juku o yobiko – espressamente orientate all’addestramento per gli esami di ammissione ai gradi scolastici successivi fino ad arrivare a quelli universitari. Non si tratta di un sostegno, ma di un percorso aggiuntivo vero e proprio, divenuto ormai una prassi imprescindibile. Questi percorsi sono gestiti in forma privata e sono piuttosto onerosi per le famiglie. La dimensione democratica e gratuita sostenuta dalla scuola pubblica, si riduce ad ambizione fallimentare di fronte a questa ineluttabilità. Su questo piano si giocano le critiche più aspre di insegnanti, genitori e pedagogisti.
All’interno delle dinamiche di apprendimento la dimensione della competizione è certamente negativa.
Spesso questa caratteristica è attribuita al sistema formativo giapponese. È indubbio che questa sia presente. Questa stortura potrebbe anche essere letta come una contraddizione di quella stessa cultura così stigmatizzata anche nell’essere fondata sulle ragioni del gruppo e delle pratiche collettive. Per molti appartenenti al settore dell’istruzione – insegnanti, ricercatori, pedagogisti – le ragioni di questa crescita esponenziale della natura competitiva dell’educazione formale è da imputarsi al micidiale sistema degli esami di ammissione, orientati – il più delle volte - a “condannare” gli alunni su prospettive lavorative rigidamente gerarchiche ed inesorabilmente vincolate al prestigio del percorso scolastico esibito.
Dopo la ripresa post-bellica il sistema educativo è stato implementato per la ricostruzione strutturale ed economica del Paese. Altissimo doveva essere il livello di conoscenza ed anche applicativo; questo ha effettivamente comportato un processo di istruzione molto vincolata al trasferimento di nozioni - da una parte – di memorizzazione - dall’altra. Questo ha generato nel tempo un carico cognitivo sempre più ingestibile, soprattutto da parte degli studenti. La soluzione, applicata nella maggior parte dei casi, è stata quella di spaccare il sistema formativo: la scuola tradizionale da una parte, le strutture (a pagamento) dedicate a massiccia infiltrazione cognitivo-mnemonica, dall’altra. Esaminando la prassi scolastica dagli anni ’90 ad oggi, pubblica e privata, riscontriamo un graduale alleggerimento del carico cognitivo (yutori no kyouiku) del curriculum, ed una tendenza da parte del corpo docente ad occuparsi, in misura sempre crescente, della dimensione emotivo-affettiva, sociale e “mentale” dell’alunno. I docenti giapponesi sono consapevoli delle enormi aspettative che la società indirizza nei loro confronti, e questo spesso ingenera una scarsa valutazione delle proprie prestazioni. Gli insegnanti sono consapevoli che il loro ruolo comprende una molteplicità di ambiti e responsabilità. In breve, l’attenzione degli insegnanti è rivolta a realizzare il più possibile un’atmosfera di benessere di corpo e mente; non sempre però i docenti sono formati ad una pratica riconducibile alla crescita armonica di questa dimensione dell’educazione. Spesso è affidata ad una mera messa a disposizione di tempo e buona volontà…Anche questo punto è al centro dell’attuale dibattito pedagogico in corso. E’ comunque doveroso riconoscere che questa caratteristica del loro profilo professionale è il riflesso di una nozione centrale del pensiero pedagogico giapponese: kizuna. Questo termine fa riferimento a modalità relazionali docente-alunno fondate su strette relazioni interpersonali, dalla natura informale e guidate dal sentimento di empatia. In questo modo il docente vuole “toccare il cuore” dell’allievo, per instaurare un rapporto intimo di fiducia, e non solo di certificazione del suo profitto cognitivo. Questa prassi sembrerebbe essere estranea rispetto al nostro immaginario, ma in realtà gli insegnanti si occupano di questioni di igiene, degli stili comportamentali dei loro allievi, dentro e fuori la scuola. Non è rara la prassi della visita a casa degli alunni da parte degli stessi insegnanti. Questa è anche la via privilegiata per costruire l’autorevolezza del docente più che intenderla e pretenderla come data per scontata. In questo senso, la disponibilità e la capacità di essere d’aiuto è, di fatto, dimostrazione di autorevolezza. Il clima che si genera è anche ritenuto essere alla base di un’efficace strategia organizzativa del gruppo classe.
Questo approccio tende a valorizzare, all’interno della stessa organizzazione scolastica, come evento educativo qualsiasi attività. Un esempio sono le attività non formali che però sono non solo ospitate ma strutturate dalla scuole: i club. Fondamentalmente organizzati come centri di aggregazione per affinità di hobby e gusti (sport ed attività del tempo libero) sono ritenuti un’occasione privilegiata per capire la personalità dello studente. L’orientamento vorrebbe intendere una valutazione che non segue la necessità della certificazione, ridimensionando il predominio dei numeri e dei giudizi censori. Queste attività servono per consolidare il legame tra allievo-docente ed è anche il canale tramite cui il docente, attraverso l’apprezzamento delle abilità extracurricolari, incoraggia l’allievo anche rispetto all’impegno nello studio. La certificazione del profitto cognitivo è delegata alle strutture private – juku – di cui si è accennato sopra. Semmai la scuola può scrivere lettere di raccomandazione in occasione del passaggio ai gradi di istruzione superiore, in realtà e contesti diversi.
Un esempio di questa prassi è la presenza tra le materie curriculari dell’educazione morale. Questa disciplina è considerata molto importante nella scuola, ma allo stesso tempo si riconosce l’inconsistenza della pretesa di certificarla con il voto.
A proposito della valutazione il sistema del voto per le scuole elementari è fondato su una scala di tre clssificatori che si completa con il commento degli insegnanti. Per le scuole di secondo grado la votazione è su una scala di dieci oppure cinque. Ma fondamentalmente ogni scuola può usare un proprio sistema di valutazione. Relativamente al raggiungimento di un livello preciso indicato dagli orientamenti ministeriali i docenti impiegano strumenti relativi di giudizio, ma nel complesso la valutazione dello studente è intesa non essere definibile entro termini e limiti stabiliti.
Rispetto al programma vige la più ampia autonomia, sia per il comparto pubblico sia per quello privato. L’intervento del Ministero per l’Istruzione - Monbukagakusho – è di delineare orientamenti in ordine ad aspetti generali dell’educazione come pratica orientata alla formazione del cittadino, secondo il rispetto dei diritti umani, dell’istanza di democrazia e della necessità dell’internazionalizzazione. La programmazione dei contenuti, la dimensione metodologica e prassica è gestita in autonomia da ciascun plesso scolastico, che fa riferimento alla figura del preside.
Nella scelta della scuola, in particolare nel caso della dimensione privata, i fattori determinanti sono rappresentati, rispettivamente, dal modello di persona cui il percorso formativo si ispira e cui aspira e dalla possibilità-garanzia di accedere a percorsi di istruzione prestigiosi. L’intervento ministeriale si attiva solo nei casi estremi, di emergenza…Naturalmente la scuola privata gode di massima flessibilità, regolamentata da consenso e fiducia.
In un’ottica di riconsiderazione delle istanze organizzative sia sul piano della distribuzione delle risorse economiche sia di quelle umane sia di quelle culturali, ma anche, e soprattutto, di un ripensamento della natura e della qualità di istruzione e di educazione, la “ratio”, il dispositivo interpretativo sembra risiedere ora più che mai in un confronto interculturale. Nono solo per eventualmente prendere spunto da modelli diversi ed eventualmente stimati positivi ed adatti a contesti nostrani, o per cercare prove di validazione o meno di modelli solo ipotizzati ma altrove realizzati. Lo sguardo sull’altrove ci consente di dispiegare “abitudini mentali” che rivolgono l’attenzione ad una sola ed esclusiva facciata delle cose, ad indebolire la capacità di intendere i colori nel loro svolgersi cromatico dove il discrimine tra una tonalità e l’altra è un passaggio lieve di sfumature in cui il confine, appunto, sfuma.